"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 24 giugno 2012

Il Vangelo della domenica. Commento di Don Umberto Cocconi.






Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 24 giugno 2012 alle ore 6,56

Dal Vangelo secondo Luca (1, 57-66. 80)  Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Che sarà mai questo bambino?». Anche alla nostra nascita, probabilmente, le persone a noi vicine avranno detto: “Chi sarà mai questo bambino?”. Certo, noi eravamo troppo piccoli per comprendere le loro parole, ma abbiamo visto volti e mani che si sono prese cura di noi, facendoci sentire speciali e unici. E ora che il bambino è cresciuto, chi è diventato? Che fine hanno fatto i sogni, le aspettative che il mondo aveva su di lui? La sua, la nostra vita si è svolta tra alti e bassi: più bassi che alti, forse. Eppure, nonostante tutto, nel cammino della nostra vita c’è stato chi ha creduto in noi, chi ci ha dato fiducia oltre ogni merito.
Il giorno della nostra nascita ci è stato dato un nome. Una delle esperienze più straordinarie di una coppia è fantasticare sul nome da dare al proprio bambino. Dopo l’annuncio del concepimento, pensare al nome significa già configurare l’identità di colui che nascerà: è in questo momento che il nascituro viene riconosciuto come figlio. Quel nome appartiene a noi, al nostro passato, al nostro modo di essere, prima che a lui. In quel nome noi forgiamo un segno indelebile: il “marchio” del nostro amore per lui, il giuramento di camminare sempre al suo fianco, nelle avversità e nelle gioie della vita. “Che nome date al vostro bambino?” sono le parole con cui inizia la celebrazione del rito del battesimo. Sono le prime parole che la Chiesa rivolge ai genitori che chiedono il battesimo per il loro bambino, le parole della comunità dei credenti che accoglie il nuovo nato. Nel linguaggio ebraico il termine “nome” è usato nel senso moderno di “persona” e “personalità”. 
Dio non fa calchi, fa solo originali. Ogni uomo approda all'essere con il suo volto, unico, originale, irripetibile. Ogni giorno, l'uomo è chiamato a riscoprire l'immagine vivente di Dio che si porta dentro. Non è un essere statico, "è un gerundio", afferma Alonso Schökel: è definito dalla forma progressiva. «Noi non siamo propriamente uomini, ma lo stiamo diventando» (Johann Gottfried Herder). A Pitagora fu chiesto quale fosse il compito degli uomini e lui rispose: “Contemplare il cielo". L'uomo è fatto per guardare il cielo, per sollevare lo sguardo verso l’alto (non è prono il suo corpo, infatti, ma eretto) sopra le fluttuazioni delle cose che passano. Se egli è immagine di Dio, il cielo – nel senso della presenza di Dio – è in qualche modo il suo specchio. L'uomo vi si rispecchia per ritrovarsi. Deve guardare il cielo non per evadere dal mondo, ma per colmarlo di significato. Non per distrarsi dalle lotte della storia, ma per impegnarsi di più al servizio degli altri. Ogni giorno Dio dice: "Fatti uomo. Diventa ciò che sei. Se vuoi puoi diventare migliore, puoi passare dalla persona alla personalità, a patto di non ridurti a personaggio”.
Il termine esistere, “ex-sistere”, significa stare fuori, protendersi verso un tu, avere, pertanto,  un destino individuale: questo indubbiamente un primo senso che la parola “esistere” evoca alla nostra mente. Stare “fuori” – fuori dal coro, per così dire, avere una vita in cui l’elemento irripetibile, incomparabile, supera di gran lunga quello comune alla specie. «L’uomo è fuori dal coro dei viventi che perennemente ripetono il tipo di vita che hanno in sorte, sempre uguale per ciascuna specie e in ciascun ambiente. Noi abbiamo una facoltà di cui un aspetto importante, la libertà di scelta e decisione o libero arbitrio, è da sempre sotto la lente dei filosofi» (Roberta De Monticelli).

O uomo, non fosti creato per essere un inizio? Perché ci fosse il nuovo? Perché ci fosse storia? La capacità d’iniziativa, di fare cose nuove – e dunque di partecipare della capacità qualificante del Creatore – è costitutiva dell’uomo. Il nome Giovanni significa “Dio è misericordia”. Ma proprio per aver fatto cose nuove, come sviluppo del concetto di misericordia racchiuso nel suo nome, Giovanni ha ricevuto dalla storia un soprannome, “il Battista” (“colui che immerge”) che dice il suo ruolo, il suo destino individuale e caratterizzante.  Anche noi siamo chiamati a non restare prigionieri del nome che ci hanno dato i nostri genitori, che dice le loro speranze e le loro attese – anche noi siamo chiamati a guadagnarci un altro nome, che non sostituisce il primo ma lo completa, dicendo cosa abbiamo messo di nostro nella vita ricevuta in dono. Il dono infatti è un impegno. In latino, del resto, la parola che indica il dono e l’impegno, il servizio (“munus”) è la medesima. Abbiamo in mano un dono che è anche un impegno. La vita deve diventare una missione unica e irripetibile per ciascuno di noi. Prendiamo, dunque, in mano la nostra vita e facciamone (così esortava Giovanni Paolo II!) un capolavoro. 
(DON UMBERTO COCCONI)

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