"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 25 novembre 2012

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.



 
Pubblicato da Don Umberto Cocconi
il giorno domenica 25 novembre 2012 alle ore 8,30

Dal Vangelo secondo Giovanni. Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
 
Il dialogo tra Gesù e Pilato, vero “cuore” del racconto della Passione dell’evangelista Giovanni, rappresenta, a un livello più alto, il dialogo e il confronto tra  Gesù e il mondo, tra il regno di Dio e il regno dell’uomo, tra la verità e la menzogna, tra la libertà e la schiavitù. «Tu lo dici: io sono re», afferma Gesù dinnanzi al procuratore romano e, subito dopo, gli consegna uno sconcertante documento d’identità: «per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità». Prima di questa affermazione, che irrita e disorienta l’interlocutore, Gesù si riferisce per ben tre volte al suo Regno: un regno radicalmente diverso da tutti gli altri, estraneo alle logiche mondane e decisamente agli antipodi di quello del “Cesare di turno”. Questa nuova, misteriosa regalità, di cui parla Gesù, non ha nulla a che vedere con le strategie del potere terreno. Gesù, infatti, rifiuta di utilizzare a proprio vantaggio la potenza di cui dispone e, non semplicemente perché rifiuta di ricorrere alla violenza, ma soprattutto perché non considera la propria vita come il bene supremo da salvare ad ogni costo. Nessun esercito si è mobilitato a difesa del “re” tradito, abbandonato nelle mani dei suoi nemici!
 
Per Gesù la “ragion di stato”, di fronte alla quale ogni altro valore viene meno, non conta nulla, egli manifesta la sua regalità nell’essere a servizio della verità fino alla fine, fino al compimento della volontà di Dio: la sua “Signoria” è completamente sottomessa alle ragioni dell’Amore. Il mondo, però, rifiuta la luce della verità. Ogni uomo, pur di sopravvivere, pur di mantenere la sua quota anche modesta di  potere, non solo non considera la verità una priorità assoluta, ma è disposto a tradirla, scendendo il più delle volte a compromessi. Gesù, invece, vive solo per rendere testimonianza alla verità e in nome della quale accetta il martirio e una lotta costante durante la sua esistenza, anche a rischio di mettere a repentaglio la propria credibilità. Per Gesù, dunque, la verità sta sempre al primo posto, nonostante le ambiguità e le sfide che la vita gli fa incontrare. E per noi? La voce del Nazareno può essere ascoltata e accolta in profondità solo a una condizione, quella di «essere dalla parte della verità», di quella verità afferrante che illumina l’intera esistenza. Forse che l'uomo, per sua natura, non è chiamato a ricercare la verità delle cose, il senso della vita? «Indagatore del vero», così Giovanni Paolo II definisce l'uomo. «Ma che cos'è la verità?».
 
Nel racconto giovanneo, Pilato prorompe in questa domanda, con curiosità mista a sufficienza. Non arriviamo a leggerla nel testo di questa domenica, ma è la grande questione che percorre tutto il quarto vangelo. L’interrogativo affonda però in un silenzio “assordante”. L'imputato non dà alcuna risposta e Pilato non ripropone la domanda. Alcuni commentatori medievali hanno immaginato che nella domanda del procuratore fosse già contenuta la risposta, che suona come «è l’uomo che ho qui davanti a me». Nel vangelo apocrifo di Nicodemo, volto a narrare le ultime fasi della vita del Cristo, Gesù risponde invece: «La verità è dal cielo» (ovvero, da Dio). Ma nella riflessione teologica di Giovanni è del tutto evidente che Gesù presenta se stesso: il Figlio del Padre, il Pane di Vita disceso dal cielo, come la Verità. Di quale Verità sta dunque parlando Gesù? Di quella che rende libero l’uomo: «la verità vi farà liberi». Aletheia, il termine greco che traduciamo con “verità”, significa “svelamento” di ciò che prima era nascosto e ora diventa visibile.
 
Nelle Scritture Ebraiche invece il termine “verità” (‘emet ) evoca piuttosto la sicurezza, la fedeltà, la costanza, l’adesione a un sostegno saldo e affidabile; è l’amen della nostra liturgia. Se intendiamo la verità come “l'apparire della realtà così come è”, la Rivelazione si presenta allora come la luce che illumina il reale, offrendo sicurezza e salvezza all'esistenza minacciata, perché è inscindibilmente legata alla persona di Gesù che è «via, verità e vita». La sorgente di tale movimento disvelante è appunto Gesù Cristo, «la luce vera che illumina ogni uomo, che viene nel mondo». Non è una “cosa”, un concetto, o una dottrina: la verità del cristianesimo è in ultima istanza la Persona di Gesù stesso. Di più: una Relazione che salva. Nell'Incarnazione accade la realizzazione massima dell'universale concreto, dove eternità e tempo, universale e singolo evento si danno la mano e si uniscono. Dio entra nel tempo, l'Eterno si fa nostro contemporaneo, «il Tutto si nasconde nel frammento, Dio assume il volto dell'uomo» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio). La Verità si è resa visibile nel Volto di Gesù. Si legge nel Prologo di Giovanni:  «Veniva nel mondo la luce, la verità»; eppure il mondo, nella sua cecità, non l’ha riconosciuta.
(DON UMBERTO COCCONI)
 
 

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