"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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lunedì 24 dicembre 2012

Il Vangelo del giorno di Natale 2012. Commento di don Umberto Cocconi.

 
Pubblicato da Don Umberto Cocconi
il giorno lunedi 24 dicembre 2012 alle ore 17,47
 
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (dal vangelo secondo Luca)

A questo mondo ripiegato su se stesso, “sazio e disperato”, che forse non attende più niente e non sa più desiderare un regalo per Natale, è “annunciata una grande gioia”. Noi “giovani da più tempo” quando eravamo bambini provavamo una gioia grande allorchè nella mattina del Natale, sotto l’albero, trovavamo “cose”, che ci riempivano d’immenso ma che oggi deluderebbero un bambino. Perchè? Non era il dono in se stesso, era il bello della mattina di Natale, quando ci si accorgeva che l’incanto era dato dalla presenza di qualcuno, che era arrivato. Se tu vedessi nel cuore della notte un bambino, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, senza neppure una culla, con sua madre lo identificheresti più che altro con qualcuno di indifeso e bisognoso di salvezza, non certo come il salvatore. Eppure i pastori andarono presso quel bambino, non per proteggerlo, ma per adorarlo come il loro Salvatore, come il loro Cristo Signore. Il segno che dice che quel bambino è venuto a salvare e non ad essere salvato, corrisponde a qualche cosa che rimanda alla sua stessa vulnerabilità. Nella sua debolezza, nella sua fragilità, nel suo essere niente, bisognoso di tutto,  c’è in realtà il suo potere di salvare. Non nella forza, non nella gloria, non nella potenza, ma “nello splendore della sua umiltà” si compie la vittoria del bene sul male. Proviamo a leggere questa scena evangelica con le lenti dell’artista Lorenzo Lotto (1480-1566) che da grande pittore qual era ha saputo  scrutare «quel che gli altri non vedono, per dare un volto ai pensieri dell'uomo e una forma alla segretezza delle cose». Pietro Zampetti  ne tratteggia così il profilo: «La sua pittura ci viene incontro da sola, ci turba la serenità, ci pone dei problemi che sono vivi ed attuali.
 
La sua arte è azione interiore, è impegno morale». Possiamo quasi dire di essere davanti ad un “mistico della pittura”. Nel 1523 Vincenzo Lotto dipinge la Natività, una piccola tavola (cm 46 x 36) conservata alla National Gallery of Art di Washington. La Natività è destinata a un'abitazione privata, sembra addirittura pensata  per la devozione di una famiglia. L’evento del Natale si sposta dal luogo di culto, dove ci si reca a pregare, alle stanze di una casa, in cui la giornata vorrebbe essere illuminata dalla memoria dell’amore di Dio. I personaggi sono collocati in primo piano, tanto da porre l’osservatore in una posizione privilegiata. Maria e Giuseppe sono inginocchiati davanti alla culla, con un Gesù sorridente che allarga le braccia. La tradizione pittorica vedeva Giuseppe solitamente in disparte e dormiente, un passo indietro rispetto alla scena principale che vedeva al centro la madre e il figlio. In questo dipinto invece Giuseppe adora Gesù bambino e gli sorride, quasi a voler ricambiare il sorriso del piccolo. Quel bimbo lo sente suo, lo ha accolto e se ne prenderà cura e lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. Maria ha gli occhi fissi su Gesù, incantati per la meraviglia e osserva il bambinello che le sta parlando con lo sguardo, con il movimento delle labbra, con i piedini che si muovono e con le mani che si protendono in uno slancio di affetto. La culla è un umile cesto.
 
La tradizione artistica, bizantina soprattutto, ha rappresentato la culla come un sepolcro scoperchiato, con evidente richiamo alla sua risurrezione finale. Appoggiate alla culla si trovano un sacchetto annodato e una botticella: il pane e l'acqua, quel poco che basta, per sfamare chi dovrà presto mettersi in viaggio. Forse una allusione alla fuga in Egitto? La sacra rappresentazione è animata da una luce che pone in evidenza una serie di particolari sorprendenti: il crocifisso, appeso alla parete di sinistra, gli angeli, la scala, le tortore, l’asino e il bue, una pialla o una trappola per topi o un semplice pezzo di legno da incastro nell’angolo a destra. Per un verso Lotto ci dipinge, in modo classico, la nascita di Gesù, dall’altro egli inserisce nuovi elementi decorativi carichi di significato, che ne rivelano la sua profondità teologica.  Il crocefisso, appeso alla parete dietro Giuseppe insieme al gesto delle braccia, incrociate sul petto della Vergine, predicono e allo stesso tempo ricordano all’osservatore, il destino finale del bambino appena nato: la morte in croce per la salvezza dell’umanità. Quello delle mani incrociate da Maria sul petto è un gesto che lascia trasparire la sofferenza della madre per la morte del figlio, la sua partecipazione alla passione di Cristo. Sopra la sacra famiglia ci sono tre angioletti che cantano esultanti, tenendo tra le mani un grande spartito musicale; forse sono stati scelti degli  angioletti, piccoli e nudi come Gesù per “umanizzare” l’evento dell’incarnazione e della nascita. C’è poi una scala appoggiata alla capanna, anch’essa riferimento ad un passo della Scrittura. Ricorda, infatti, l’episodio del sogno di Giacobbe: «Una notte, mentre era in viaggio, vede in sogno una scala che univa la terra al cielo.
 
Su di essa salivano e scendevano gli angeli. Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». Sul dipinto compare, come presenza discreta, una coppia di tortore, simbolo di fedeltà. Le tortore stanno appollaiate su di un bastone all’ingresso della capanna: simboleggiano la Chiesa come sposa di Cristo. Il bue e l'asino sono collocati, dal Lotto, in posizione secondaria, dentro la capanna e legati alla greppia, le loro figure, di solito in primo piano qui appaiono piuttosto defilate, quasi nascoste. Infine, che cos’è l’oggetto nell’angolo destro? La domanda ha tormentato a lungo i critici. Per alcuni sarebbe una semplice pialla che ricorda la professione di falegname praticata da Giuseppe, per altri in particolare per Rusk Shapley, si tratterebbe di una trappola per topi (il topo nella simbologia onirica rappresenta il nemico invisibile e indistruttibile) e per altri ancora un semplice pezzo di legno da incastro. «Secondo la tesi di Shapley l’oggetto mette ancor più in evidenza il messaggio della missione salvifica di Cristo. Questo si trova sul lato opposto a quello del crocifisso, ma in diretta corrispondenza con esso, quasi fossero congiunti da un filo invisibile. In mezzo a questi due elementi, sta la figura del bambino Gesù. L’iconografia della trappola è poco diffusa, ma di fonte molto autorevole» (Andrea Coldani). E’ sant’Agostino che, commentando la passione, afferma: «Il diavolo ha esultato quando Cristo è morto, ma per quella stessa morte di Cristo il diavolo è stato vinto, come la trappola prende l’esca. La croce del Signore è la trappola del diavolo; la morte del Signore l’esca con la quale sarà preso». Inoltre Lotto pone la sua firma in modo da farci comprendere il ruolo dell’artista: egli scrive il suo nome su di un pezzo di legno, con un incastro ad angolo retto, frutto dell’arte di Giuseppe il falegname.  L’artista, come Giuseppe nell’umiltà e nel silenzio del proprio lavoro, contempla il mistero di Dio che si rivela, si lascia educare da esso e lo rende visibile. 
(DON UMBERTO COCCONI)
 
 
 

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