"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


PARMAINDIALETTO Tv


Tgnèmmos vìsst
Al salùt pramzàn äd parmaindialetto.blogspot.com

“Parmaindialetto” è nato il 31 luglio del 2004. Quest’anno compie 16 anni

“Parmaindialetto” l’é nasù al 31 lùjj dal 2004. St’an’ al compìssa 16 an’

Per comunicare con "Parmaindialetto" e-mail parmaindialetto@gmail.com

L’ UNICA SEDE DI “Parmaindialetto” SI TROVA A PARMA ED E' STATO IDEATO DALLA FAMIGLIA MALETTI DI “PÄRMA”.







domenica 16 dicembre 2012

Il Vangelo della domenica, commento di don Umberto Cocconi.


Pubblicato da Don Umberto Cocconi
il giorno domenica 16 dicembre 2012 alle ore 9,05


Le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».  Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo (Vangelo secondo Luca).
 
Davanti al Battista, tutti si interrogano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Le diverse categorie sociali, soldati, pubblicani e il popolo tutto (la gente comune) si domandano che cosa debbano fare, per “preparare la via al Signore” nella propria vita. E io, che cosa devo fare? Ognuno è chiamato alla condivisione, i soldati non devono maltrattare ed estorcere niente a nessuno, devono accontentarsi delle loro paghe, i pubblicani, ovvero gli esattori delle tasse,  non devono esigere nulla di più di quanto è stato fissato dai governanti, non devono arricchirsi alle spalle della povera gente. Giovanni il Battista sembra dire: “Per essere veri uomini c’è un minimum, c’è una premessa, per iniziare il grande salto. Tu, uomo della strada,  per quello che sei, per le condizioni di vita in cui ti trovi, per le responsabilità di cui sei investito, per le disponibilità che hai, ti devi chiedere: qual è il livello minimo che devo raggiungere per corrispondere a una vita che sia in linea con le indicazioni di Giovanni il Battista? Noi sappiamo già, però, che la “bella notizia” alla quale Giovanni sta spianando la strada porterà con sé un “di più”: non un semplice “fare”, ma uno “strafare”, e quindi una domanda ancora più esigente: quali sono i passi che dovrei compiere per giungere alla misura alta richiesta da Cristo? Gesù rivolgendosi alle folle un giorno disse: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei (coloro che erano considerati giusti) non entrerete nel regno dei cieli” e al giovane ricco disse: “Se vuoi essere perfetto vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri”.
 
Questo è il dilemma: vivere secondo “giustizia” o secondo misericordia? Questo è il problema di fondo! Il popolo – ci dice l’evangelista Luca – era in attesa, coltivava una speranza. E noi che cosa attendiamo, qual è la misura del nostro desiderio? Ciascuno diventa grande in rapporto alla sua attesa. «Uno è diventato grande con l’attendere il possibile; un’altro con l’attendere l’eterno; ma colui che attese l’impossibile, divenne il più grande di tutti (costui è Abramo). Ognuno dev’essere ricordato. Ma ognuno è stato grande in rapporto alla grandezza contro cui combatté. Poiché colui che combatté contro il mondo divenne grande vincendo il mondo, e colui che combatté contro se stesso divenne più grande vincendo se stesso, ma colui che combatté con Dio divenne più grande di tutti (costui è ancora Abramo)» (S. Kierkegaard). Evangelizzando il popolo, convenuto alle rive del Giordano, Giovanni il Battista disse: “Io vi battezzo con acqua, ma Colui che viene è più forte di me, Lui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Io vi  immergo nell’acqua, ma quando giungerà il più forte, Lui vi immergerà nel fuoco e sarete rivestiti dall’alto dalla potenza dello Spirito, tanto da essere avvolti dalla forza vitale di Dio. Sarete così abitati dalla passione, dall’energia, dalla vita divina”. Dal battesimo di acqua, che purifica, al battesimo di fuoco che è forza dirompente, capace di accendere la vita dall’interno, dalle profondità del cuore umano, delle sue capacità e possibilità di relazione: Dio sta per ri-creare l’umanità.
 
Che immagine di Gesù, però, aveva in sé il Battista? E noi, che immagine abbiamo di Gesù? Dalla descrizione che segue si evince che per Giovanni il Messia è l’uomo della giustizia di Dio, una giustizia che discerne, separa, purifica definitivamente, che agisce con potenza: non l’icona della misericordia divina. Egli – dichiara Giovanni – terrà «in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Invece colui che giungerà sconcerterà tutti. La missione del Servo di JHWH conoscerà un fallimento bruciante agli occhi degli uomini e un epilogo inatteso: l’abbandono da parte di tutti, anche (apparentemente) da parte di Dio. Ma il Servo castigato, percosso e umiliato, che si è caricato delle nostre sofferenze ed è stato  trafitto per i nostri delitti, ci ha guariti attraverso le sue  piaghe. Questo “uomo dei dolori” è, in realtà, l’immagine stessa del Dio invisibile, in cui il Padre ha posto il suo compiacimento. Martin Buber ha scritto che "il successo non è uno dei nomi di Dio". Che differenza c’è tra giustizia e misericordia? Il nostro concetto di giustizia implica in genere la verifica del proprio comportamento alla luce di una legge, di una norma da applicare e rispettare.
 
La misericordia è invece prima di tutto riconoscere l’altro come un tu, ascoltarlo, comprenderne i bisogni, interessarsi a lui come persona, più che “giudicarlo”. Non è forse anche saper scommettere di nuovo su di lui, proprio quando non se lo merita? «E’ necessario ritrovare ogni giorno le motivazioni dinamiche per convincerci che comunque l'uomo vale, può essere curato e, anche se è colpevole, resta sempre un soggetto primario della società. Non è l'uomo una bestia da domare, un bersaglio da colpire, un nemico da sconfiggere, un parassita da uccidere; è persona da stimare pur quando non ci stima, da comprendere anche se ha la testa dura, da valorizzare anche se ci disprezza, da responsabilizzare anche se ci appare incapace, da amare anche se ci odia» (Carlo Maria Martini). Afferma l’apostolo Paolo: «Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio ... tutti giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù». Quale è dunque la giustizia di Dio che si è manifestata in Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri.
 
Non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio. «Quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza – indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia. Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”» (Benedetto XVI).
(DON UMBERTO COCCONI)

Nessun commento: