Dal Vangelo secondo
Marco. Mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla,
il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a
mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio
di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma
egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli:
«Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in
piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per
te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli
disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva
lungo la strada.
«Che cosa vuoi che io faccia per te?».
La domanda, ormai, ci è familiare. Domenica scorsa, Giacomo e Giovanni avevano
chiesto a Gesù di potersi sedere alla sua destra e alla sua sinistra. E lui,
con maestria davvero unica, si era messo al servizio della crescita spirituale
dei due fratelli e di tutti i discepoli. E noi? Non abbiamo niente da chiedere
a Gesù? Forse potremmo osare, puntare al massimo, domandargli qualcosa di
simile a ciò che gli ha chiesto Bartimeo. Il vangelo di oggi ci racconta
l'incontro di Gesù con questo cieco, mendicante sulla strada di Gerico. Al
sentire che Gesù sta passando nelle vicinanze, l’uomo si mette a gridare con
tutta la forza che ha in corpo. Lo straordinario “rabbì” di Nazareth avrà pure
compassione, potrà far qualcosa per la sua vita disgraziata! Non si perde
d’animo, Bartimeo, nonostante i rimproveri della folla che cerca di zittirlo. Non
è affezionato alla propria malattia, ai mediocri “vantaggi” che gli procura. Sa
di essere cieco (a differenza di altri...) e vuole guarire. Rivuole pienamente
la sua dignità di uomo e di figlio di Dio. A te non è mai capitato, in un
momento particolare della tua vita, di sentire Gesù passarti accanto? Il cuore
ti batteva forte... Forse anche tu ti sei messo a gridare, scosso da un’intima
inquietudine. E intorno a te tutti quanti – amici, abitudini, comodità,
ambiente... – non facevano che consigliarti: “Smetti di strillare! Perché
chiamare Gesù? Non lo scomodare!”. Già, perché scomodare Dio? Lui viaggia alto,
non si occupa delle piccolezze, ha i suoi grandi progetti... E tu, ti sei
arreso oppure hai fatto come Bartimeo, che ha ignorato i consigli dei benpensanti
e anzi ha insistito, raddoppiando l’energia: «Figlio di Davide, abbi pietà di
me!»... A volte, abbiamo la sensazione che nessuno ci ascolti, neppure il
Signore.
L’importante, però, è che tu riesca
a gridare la tua disperazione senza stancarti, anche se ti senti solo e pensi
che tutti ce l’abbiano con te. Persevera! Gesù sente il nostro grido, ma
aspetta, perché vuole che arriviamo a essere davvero convinti di aver bisogno
di lui, proprio di lui. Ci vuole insistenti nella preghiera, testardi, come quel
cieco mendicante lungo la via di Gerico. «Allora Gesù si fermò e disse:
“Chiamatelo”». Gesù si è fermato: quel grido lo ha raggiunto. Mentre cammina in
mezzo alla confusione – Gerico è una città di commerci – Gesù decide di
sintonizzarsi proprio sulla voce che lotta per emergere sul rumore, sui
richiami di ogni genere. Tutto quello che prima era importante ora diventa
secondario. Qualcuno sta gridando la sua richiesta d’aiuto con tutto se stesso:
non si può rimanere indifferenti. La folla – con uno sconcertante “voltafaccia”
– passa dal fastidio e dall’imbarazzo nei confronti del cieco a un’attiva
collaborazione: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Tre splendide parole che aiutano quell’uomo a risorgere, a balzare in
piedi, perfino a gettare via il suo mantello, l’unica sua ricchezza, l’unica
protezione, l’unico vestito. Che cosa avrà “convertito” così rapidamente la
folla, trasformandola in comunità solidale? La meravigliosa accondiscendenza di
Gesù, la sua parola ferma, dolcemente imperativa, che chiede a tutti di avere
uno sguardo diverso su se stessi, sugli altri, sul Dio vicino... O è anche la
curiosità? Oppure è la speranza, che sussurra perfino nel cuore più oppresso
dal dubbio: “Forse è troppo bello... Ma vorrei tanto che fosse vero che Dio mi
ascoltasse, che si prendesse cura di me...”. Fatto sta che ora Bartimeo è in
piedi, volto nel volto con il Signore, all’altezza del suo sguardo e della sua
Parola che guarisce e salva. E i suoi occhi ora vedono, con una limpidezza
illuminata dalla fede. Anche oggi, il Signore Gesù ti dice: “Alzati, esci dalla
tua pigrizia, dalla tua comodità, dai tuoi egoismi, dai tuoi problemi che ti
sembrano sempre così grandi. Riconosci la tua cecità, i limiti del tuo punto di
vista, della tua visione del mondo! Distaccati dalla terra, tu che te ne stai
lì piatto, gretto, informe. Guadagna in altezza, cresci in statura e sostanza,
per umanità e per visione spirituale!”. Guarda Bartimeo, che getta via il
mantello per correre dietro a Cristo! Di qualcosa devi pur sbarazzarti, se vuoi
andare spedito verso Gesù. Per giungere fino a lui è necessario gettare via
tutto quello che ingombra, anche se ti pare una difesa necessaria. Oggi, non
sai come, ma gli eventi ti hanno condotto fino a Gesù. Anche la lettura di
questo articolo può averti portato davanti a lui. E che cosa gli chiederai, se
non quello che chiese Bartimeo? «Rabbunì, che io veda di nuovo!». Tu, che
cos’hai in comune con il cieco di Gerico?
Ne “Il comandante e la cicogna” il ruolo di “osservatori” è affidato alle
statue di personaggi illustri del nostro passato (Garibaldi, Verdi, Leopardi,
Leonardo da Vinci... e il cavalier Cazzaniga), complementi d'arredo ormai quasi
ignorati delle piazze delle nostre città, e a una cicogna di nome Agostina.
«Per raccontare un Paese caduto (molto) in basso bisogna per forza volare alto.
Non troppo, per carità: solo un po'. Sollevarsi, mettere le ali: per cercare un
altro punto di vista, un distacco meno umano ma comunque non indifferente; come
quello di certi uccelli, che, perplessi e incuriositi, forse ancora si
domandano perché mai non ci libriamo anche noi nel cielo. E stanchi di
girovagare tra le nuvole si riposano per un istante sulle spalle robuste dei
padri della patria che, eternati nel bronzo della loro gloria, osservano con
amarezza, dall’alto del loro piedistallo, il degrado di un’Italia senza
speranza» (Filiberto Molossi). Le città viste dall'alto, attraverso un volo che
si libra sulle ali della fantasia, fan sì che i problemi della vita di tutti i
giorni, osservati da un punto di vista più 'alto' sembrino essere minuscoli.
Leo, il protagonista del film, è un idraulico, le cui giornate sembrano non
finire mai. Rimasto vedovo dopo un incidente, avvenuto al mare durante le ferie
estive, Leo si fa in quattro per mantenere i due irrequieti figli adolescenti,
Elia e Maddalena, il primo fissato con gli uccelli e amico di una cicogna, la
seconda alle prese con i primi amori. Nel film, non solo parlano le statue ma
anche i cosiddetti morti: infatti, nel cuore della notte, nei momenti in cui il
marito ha bisogno di una chiacchierata liberatoria e di un consiglio, la moglie
“appare”, più presente che mai. L’altra protagonista femminile del film è
Diana, una squinternata giovane alle prese con un’inutile ricerca di giustizia;
è un’artista ispirata, in attesa della grande “svolta”, ma ogni mese fatica a
procurarsi i soldi da consegnare al suo padrone di casa, Amanzio. Dall’alto, la
cicogna Agostina osserva ogni cosa, il comandante Garibaldi e i suoi immobili
colleghi di bronzo, come pure gli amici in carne e ossa, senza esprimere pareri
né giudizi, limitandosi piuttosto ad attirare l'attenzione e l'amorevolezza di
tutti. La bella notizia è che esistono ancora i sogni (che sono una cosa
diversa dalle illusioni) e le speranze, ad uso e consumo esclusivo degli
uomini. Qualcuno dei nostri eroi “viventi” non ha ancora smesso di sognare e di
sperare nel futuro. E tu?
(DON UMBERTO COCCONI)