"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 3 febbraio 2013

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.




Pubblicato da Don Umberto Cocconi
il giorno domenica 20 gennaio 2013 alle ore 19,45


Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (dal vangelo secondo Luca).

 
Come mai questa reazione della folla che ci appare “spropositata” nei confronti di Gesù? Perché dopo aver sentito le sue parole di grazia sono così sdegnati da cacciarlo fuori dalla loro città e decisi a gettarlo giù dal precipizio? Perché si sentono sfidati a tal punto dalle parole di Gesù da deciderne la morte? Gesù non aveva messo in conto che gli abitanti di Nazaret erano più tosti, più difficili da convincere di quelli di Cafarnao e dintorni? Ripercorriamo i fatti. Dopo un iniziale stupore per le parole di Gesù i suoi compaesani si pongono la fatidica domanda: ma costui non è il figlio di Giuseppe? Non è un nazareno, uno dei nostri? E se è uno dei nostri perché non compie per noi le stesse cose che ha fatto a Cafarnao? Gesù però non vuole lasciarsi ingabbiare dalle loro logiche, chiedono miracoli, privilegi, prebende, raccomandazioni. Anzi paradossalmente egli sta donando a loro il segno più grande dell’amore di Dio: la parola che, in lui - nell’oggi di chi ascolta - giunge alla sua pienezza. Gli abitanti di Nazaret sono i primi destinatari dell’annuncio della pasqua, del grande giubileo della liberazione.

Essi sono i privilegiati che ascoltano ufficialmente e pienamente la bella notizia del compimento delle Scritture. Eppure non solo non se ne rendono conto, ma si sentono messi in secondo piano dal loro compaesano divenuto così presto famoso. Ai loro occhi l’operare di Gesù è rivolto solo agli altri, a loro niente, neppure le briciole. Perché loro si e noi no? Gesù viene rifiutato dai suoi perché non risponde alle loro pretese, anzi egli ha il coraggio di sfidarli a tal punto da provocare una reazione dalle imprevedibile conseguenze. Visto che tutti lo guardavano  - “gli occhi di tutti erano rivolti su di lui” -, senz’altro avrà scorto nei loro occhi invidia, critica, cattiveria, insolenza. In tutti i brani di Vangelo, compreso questo, va notato che Gesù non fa nulla per attirare su di sé l'invidia delle persone che lo osservano e lo scrutano. Indubbiamente, Gesù, al fine di portare il suo lieto Messaggio, non cede mai a compromessi, rischiando spesse volte la vita, anche prima della crocifissione. Nondimeno, sono gli uditori che non accettano di comprendere ciò, ossia la verità che il Signore porta. Non è lui a generare lo scandalo, ma la verità, che non viene accolta da chi sta nelle tenebre. Gesù si paragona ai profeti Elia ed Eliseo, che non riuscirono ad operare miracoli fra gli israeliti a causa della incredulità dei loro concittadini, mentre la loro parola era accolta dai pagani, dagli stranieri, dai peccatori.

“All’udire queste parole” la folla si “accende”, è piena di sdegno e si accanisce nei suoi confronti. Perché la folla ha comportamenti così violenti verso di lui? «Al mimetismo violento che divide, frammenta e distrugge le comunità, subentra un mimetismo che raduna tutti gli scandalizzati contro un unica vittima, elevata al rango di scandalo universale» (R. Girard). Gli abitanti di Nazaret sono proprio scandalizzati dalle parole di Gesù! Vedono in lui semplicemente un uomo che dice di  essere il Messia, che per di più pretende di essere diverso da loro, mentre in realtà è solo il figlio di Giuseppe, il carpentiere. Coloro che conoscono Nazaret, la città e i suoi immediati dintorni, sanno che in essa non vi sono dirupi. Perché allora questa inesattezza geografica di Luca? Come mai l’evangelista ha dotato la città di Nazaret di un dirupo inesistente? «Bisogna vedere in questo episodio un abbozzo, e di conseguenza un annuncio, della passione.

La caduta dall’alto di una rupe, come la lapidazione, è un equivalente della crocifissione» (R. Girard). Lincoln è un film di parola e parole, di dialoghi, che richiede un'elevata attenzione dello spettatore sia per la durata, sia per il contenuto che per lo stile. I primi piani dei protagonisti sono ripetuti per sottolineare lo spessore delle parole che pronunciano. Non si racconta solo il leader e lo statista, ma soprattutto l’uomo, con tutti i suoi tormenti, gli incubi, i ricordi, i litigi con la moglie e le incomprensioni con i figli. Spielberg fa sedere anche noi nella Casa Bianca, a fianco del presidente, del suo staff compresi i suoi nemici. Si rimane affascinati nell’ascoltare i discorsi di Lincoln; splendido quello quello su Euclide e sull'uguaglianza fra gli uomini: “Se lo schiavismo non è sbagliato, nulla è sbagliato”. Dalle sue parole si afferra soprattutto la lungimiranza di un uomo che, machiavellicamente, ricorre al compromesso, anche spregiudicato, per arrivare al bene cosiddetto "superiore": l’abolizione della schiavitù e la fine della guerra civile. Il fine, il più nobile di tutti, giustifica i mezzi: lo spettatore è libero di condividere o meno questa posizione. Eppure il valore del film sta proprio nella contagiosa forza dell’ideale che smuove ogni cosa. Veniamo così condotti tra gli accordi, i sotterfugi e i tradimenti che aleggiano nelle stanze di chi governa. La narrazione mostra come ogni rivoluzione, anche la più nobile, si compie sempre a costo di grandi e alti compromessi. Il film di Spielberg vuole essere innanzitutto un’opera sulla centralità della politica, sulla sua profonda dignità, ma anche sulle sue contraddizioni e i compromessi, che incidono profondamente sulle scelte di governo di una comunità. Gesù è al di sopra di questi modi di agire, non scende a compromessi, non abbassa l’asticella per ottenere il consenso dei nazareni.

Avrebbe potuto accontentarli, ma non ci sta. Il suo è sempre un appello alla coscienza del singolo. Accetta  di correre il rischio di perdere tutto: non solo la propria immagine davanti agli occhi dei suoi compaesani, ma anche la possibilità di condurli alla salvezza. Per Gesù il fine per nobile che sia non giustifica mai i mezzi: il suo è perenne appello alla responsabilità e alla libertà di ciascuno. Non vuole costringere nessuno a credere. Rispondere alla “domanda” di miracoli sarebbe stato un modo di obbligare la sua gente a credere in lui. Con questo non è detto che scendere a compromessi significhi necessariamente mettersi al riparo dal martirio e dalla morte. Lo stesso Lincoln sarà ucciso comunque, pienamente consapevole del prezzo elevatisimo richiesto dalla sua sfida nella quale anche lui non si tira indietro e si gioca tutto, compreso la vita. 
(DON UMBERTO COCCONI)

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