"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 3 marzo 2013

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.




Pubblicato da Don Umberto Cocconi
il giorno domenica 3 marzo 2013 alle ore 7,29

Si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”»
(dal Vangelo secondo Luca).
 
Due notizie di cronaca nera avevano impressionato i contemporanei di Gesù. Che cosa era mai capitato di così drammatico? Mentre sacrificavano al tempio, alcuni devoti erano stati uccisi dalle guardie di Pilato. Perché tanta violenza nei confronti di persone che stavano compiendo un rito religioso? Che cosa avevano fatto di male per meritare una sorte simile? Nella città di Siloe, inoltre, era crollata improvvisamente una torre che aveva ucciso diciotto persone. Tutti si chiedevano: perché proprio a loro era capitata questa sventura, che cosa avevano fatto di così grave per meritarla? La risposta di Gesù è forte e chiara: le vittime delle disgrazie in questione non erano più colpevoli di tanti altri che invece erano ancora vivi. Gesù vuole sfatare le interpretazioni e le supposizioni “retributive” del sentire comune, secondo le quali se a uno accade qualche cosa di male è perché se lo è meritato. Basti pensare, a questo proposito,  alla vicenda di Giobbe, un uomo giusto e perseguitato dalle sofferenze e di cui i suoi amici diranno: “Se soffre è perché ha peccato”. Questo avvenne anche quando i discepoli di Gesù incontrarono un uomo cieco dalla nascita e chiesero al Maestro: “E’ lui che ha peccato o i suoi genitori?”. Gesù ribadisce, in più occasioni, che l’agire di Dio è sorprendente e sovverte le logiche umane; è un Dio che fa sorgere il sole sia sui buoni che sui malvagi, che fa scendere la pioggia su tutti, perché non fa differenza fra persone. Gesù vuol dire a quanti gli avevano riferito queste notizie di sangue, che i fatti della vita sono piuttosto occasioni per cambiare, per lasciarsi interrogare dalle cose che avvengono, per cogliere nelle vicende del tempo il proprio esser-ci . 

Dobbiamo però essere consapevoli che «ogni goccia di male che deponiamo nel solco della storia la inquina perché genera germi malefici. Come il bene irradia luce e calore, così il male emana tenebra, gelo, cupa imitazione. Esiste una drammatica coralità generata dalla singola azione perversa» (Gianfranco Ravasi). Nei “Fratelli Karamazov” di Dostojevskij si legge: «ognuno di noi è responsabile – sarebbe meglio dire colpevole – di tutto e di tutti davanti a tutti, e io sono più responsabile degli altri». Siamo tutti chiamati a cercare Dio, a scoprire la sua volontà, non solo nello “spazio sacro”, ma anche nelle vicende umane: è là che si può incontrare il volto di Dio e la sua rivelazione, il suo appello di conversione, di cambiamento. E’ proprio nell’orizzonte in cui si svolge la storia umana – nel fiume del tempo dove viviamo la gioia, la festa, la bellezza, la luce e dove è anche in agguato il male, il lutto, la tristezza, la sciagura, le lacrime, le tenebre –  che l’uomo può cogliere la sua chiamata, la possibilità di vivere il proprio tempo come kairòs, ossia come scelta decisiva e ineludibile, e non semplicemente come chrònos, cioè come un succedersi di istanti scanditi dall’orologio. «Dio, l’Eterno per eccellenza, si comprime nel tempo umano, che è sviluppo successivo, e si presenta ai crocicchi della storia, oltre ai crocevia dello spazio, un po’ come accade nei quadri biblici di Chagall che introducono angeli e presenze divine nella quotidianità modesta» (Gianfranco Ravasi). Dio lo si incontra nella storia, perché è il Dio del tempo, è il Dio con noi, l’Emmanuele. Il Dio che si svela in Gesù si manifesta come colui che si prende cura di te, perché sei prezioso ai suoi occhi. La pianta che ci descrive la parabola è sterile e, di conseguenza, occupa “indebitamente” il suolo; per questo potrebbe essere tagliata. In questo senso assomiglia a noi, uomini e donne pieni di foglie (apparenze), ma nella sostanza sterili, incapaci di “produrre vita”. Ma nulla, per Dio sembra essere perduto! C’è qualcuno che ancora crede in te, nonostante i tuoi innumerevoli fallimenti e c’è qualcuno, molto esigente, che è convinto che potresti essere diverso da come appari. Sa scorgere in te una bellezza ancora da scoprire, che il mondo non conosce, ma che Lui intravvede. 

C’è qualcuno che scommette davvero su di te, e sa che vincerai!  Non getta la spugna, anzi, senza perdersi d’animo lotta al tuo fianco, attuando l’impossibile. Il vignaiolo della parabola consiglia infatti al suo padrone, che pare abbia perso ogni speranza, di attendere ancora un anno prima di prendere la decisione di tagliare l’albero. Paradossalmente, Dio ti concede ancora un po’ di tempo e attende che tu faccia qualcosa per la tua conversione e per il tuo volgerti verso il volto dell’altro. Ma in questo cammino di autenticità Egli non ti lascia solo anzi al tuo fianco ci sarà “Colui che è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Credendo in te, farà di tutto perché tu possa produrre frutti “di opere buone”. Il servo-vignaiolo chiede al suo padrone una deroga: “lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime”. Vedrai, non resterai deluso. Il servo si farà in quattro, prodigherà tutto se stesso affinché tu, dolce pianta di fico, possa portare frutti. Perché questo avvenga, non solo toglierà i sassi dal terreno e zapperà tutto intorno, ma lo concimerà, anzi diventerà Lui stesso il nutrimento, per eccellenza, per colui al quale ha donato tutto il suo amore. Colui che ti ama si fa “concime”, - sostanza capace di conferire al terreno agricolo un più alto grado di fertilità - perché tu possa produrre frutti di pace e di giustizia. Gesù non si è accontentato solamente di zappare il terreno attorno a noi, di sfrondare i nostri rami superflui e le nostre storture, ma si è offerto a noi come  la Parola e il nutrimento, che può far germogliare la nostra terra. 

Se la Parola di Dio può essere paragonata  “alla pioggia o alla neve che scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver fecondato la terra”, così il “Corpo di Cristo” può essere paragonato al “concime” che trasforma i nostri cuori di pietra in cuori di carne, e li rende più attenti ai bisogni dei fratelli. La pazienza del servo che zappa il nostro cuore, spesso tanto duro e insensibile, viene moltiplicata e trova il suo senso ultimo nell’Eucarestia, che è in grado di far divenire la pietra terra, e la terra carne viva e feconda. Persino i nostri errori possono diventare “concime” per la pianta spirituale che siamo: nessuno come Dio sa trasformare i nostri peccati in grazia. Renato Zero ha composto una canzone dal titolo “Il maestro”, la possiamo tenere come sottofondo alle nostre riflessioni, è un invito a «esibirti, sbizzarrirti/è il momento tuo lanciati così butta fuori il meglio/adesso sì/l'anima ce l'hai conta su di lei/puoi sfidare il mondo adesso, o mai!». C’è davvero chi crede in te, come il servo della parabola: «io ti guardo e sento che puoi farcela/ maledetta sorte puoi sconfiggerla⁄non ti lascerò⁄senz'alibi io no⁄punta in alto credi a me/guarda avanti!⁄ti trasformerai⁄tu ti evolverai⁄sulla scena il segno lascerai» (Renato Zero).
(DON UMBERTO COCCONI)

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