"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 7 luglio 2013

Il Vangelo della domenica. "Le vacanze indimenticabili di 72 discepoli di Gesù". Commento di don Umberto Cocconi.

 
 


Pubblicato da Don Umberto Cocconi   il giorno domenica 7 luglio 2013 alle ore  7,18

Gesù designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali. In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». (Vangelo secondo Luca)

Con la crisi economica che incombe, chissà se ci sarà tempo per un po’ di vacanze! Potremmo però crearci delle vacanze alternative, vivere meglio il nostro tempo, con incontri ed esperienze nuove. Il vangelo di questa domenica ci racconta appunto l’andare dei discepoli di città in città, di villaggio in villaggio, per portare la buona novella. Per i settantadue discepoli inizieranno “vacanze” davvero indimenticabili. E per noi? Che cosa ci costa suonare qualche campanello? Perché non diventare un po’ folli e portare anche noi la speranza, la pace, mediante il nostro esserci, che dimostra prossimità, condivisione e simpatia? Saremo capaci di portare questo invito di pace almeno ai dirimpettai che abitano sul pianerottolo di casa nostra? Perché non lasciarci conquistare da una canzone di Max Gazzè, che spopola in queste settimane: «Apra la sua porta,/ Faccia presto… /Non importa/Cosa crede lei/Ma l’avverto/Che al suo posto/Non ci penserei/Due volte, /Dato l’imminente/Arrivo di Gesù». E’ proprio una “mission impossible” quella che siamo chiamati a compiere. Come prepararci, allora? Come dobbiamo attrezzarci, per essere all’altezza di questo compito? Gesù raccomanda ai suoi discepoli di non portare niente, né borsa, né sacca, né sandali. Si deve andare spogli di tutto, disarmati, in completa povertà. Ti presenti all’altro per ciò che sei, rivelando solo te stesso e quello in cui credi veramente. Sarà la tua vita a parlare, e parlerà di più se sarai spoglio di tutto. Sembra paradossale che venga chiesto di andare di città in città senza neppure indossare i sandali, precisamente a piedi nudi. Perché mai una simile richiesta? Mosè, quando fu chiamato da Dio al roveto ardente, dovette togliersi i sandali, perché il luogo sul quale camminava era una Terra Santa. Egli dovette togliere ogni “sovrastruttura”, interposta tra sé e la terra, che è Santa in quanto oggetto dell’amore di predilezione di Dio.
 
Sei chiamato anche tu ad aderire alla realtà senza pregiudizi, senza frapporre tra te e la strada nulla, se non la semplice nudità del tuo piede, vivendo un contatto “verginale” con le cose. Siamo chiamati così a vivere le relazioni con le persone in piena libertà, senza lasciarci condizionare dal nostro modo di pensare comune alla maggior parte della gente. Non dobbiamo neppure tralasciare la frase di Gesù, che manda i suoi “prodi” come agnelli in mezzo ai lupi. Lo stile del missionario deve essere quello della mitezza, della dolcezza, dell’innocenza: proprio per questo non deve indossare nessuna “armatura” protettiva, se non quella della fede. E’ meglio avere intorno a sé dei tipi che si comportano come lupi o avere a che fare con persone “double-face”, che non ti mostrano il loro vero volto, ma hanno dei progetti nascosti? Non è forse quest’ultima la peggiore delle sventure che possa capitare a una persona, che non mostra realmente ciò che pensa e dice ciò che gli conviene di più? Con il suo mandato, Gesù ti considera capace di affrontare i pericoli, di superare la paura, in qualche modo configurata in un ipotetico lupo. Un grande filosofo (T. Hobbes), quando parlava dell’umanità, la descriveva, citando Plauto, come un insieme di uomini che si comportano da lupi fra di loro: “homo homini lupus”. Il lupo è colui che ti mette in crisi, che ti contrasta, che ti può sbranare. Sarebbero tanti, quindi, i motivi per non andare in mezzo ai lupi … Ma noi, sapremo mai amare le missioni impossibili? Se andassimo davvero in mezzo alla gente e cominciassimo a suonare i campanelli del nostro caseggiato, quante cose potremmo raccontare, dopo un’esperienza trasformante come questa! Forse anche noi racconteremmo di porte che si sono aperte e di porte che sono rimaste chiuse.
 
Parleremmo comunque di incontri, inaspettati, ma coinvolgenti e anche sconvolgenti. «Apri un istante/E ti farò vedere io/Che nasce sempre/Il sole/Dove Cerco Dio,/In tutti i poveretti/Che hanno perso/Il senso immenso/Della vita!» (Max Gazzè). I discepoli quando raccontano a Gesù della loro “vacanza”, dicono che “satana” è stato sconfitto. Satana è colui che accusa, colui che mette in dubbio ai nostri occhi l’amore del Signore, e al tempo stesso nega davanti a noi che Dio sia nostro amico, il nostro difensore. Satana ci vuole divisi, dubbiosi, soli, indifesi, l’un contro l’altro armati: vuole che diventiamo “homines hominibus lupi”, che non crediamo più nell’altro, nella sua bellezza. Dove ci piacerebbe che fosse scritto il nostro nome? L’unica cosa che ci appartiene è il nostro nome: giochiamo tutta la nostra vita nel cercare di realizzarlo, nel compierlo. Nomina sunt consequentia rerum, i nomi sono conseguenti alla natura delle cose, dicevano gli antichi; e ancora nel nome è contenuto il tuo destino, il tuo posto nel mondo: Nomen omen! Quando facciamo nostra la preghiera di Gesù diciamo “Padre nostro che sei nei cieli”. Ora, in questi “cieli” è scritto il tuo nome. In un testo del profeta Isaia si dice che Dio non dimentica il nostro nome, perché il nostro nome è scritto sul palmo delle sue mani perciò sei sempre davanti ai suoi occhi. Colui che è tre volte Santo ti pensa sempre. E tu? Che nomi hai scritto sul palmo della tua mano? Meglio ancora: qualcuno ha scritto il tuo nome sul palmo della sua mano? Allora sì che c’è la pace e satana è davvero sconfitto. Se c’è una cosa che satana non vuole è che l’uomo sappia che Dio ha scritto il tuo nome sul palmo della sua mano e che gli uomini scrivano sulle loro mani i nomi gli uni degli altri. Il nemico di Dio non intende farci rifiutare i dogmi della fede, ma vuole che non ci accorgiamo dell’amore di Dio. Questa è la sua tattica: divide et impera!, ossia dividere gli uomini tra di loro per prenderli con l’inganno e accentuare la loro solitudine. Ma «Dio ha scritto t’amo sulla roccia … sulla roccia, non sulla sabbia come nelle vecchie canzoni …» (Tonino Bello). Il tuo nome è indelebile! Dio non ti dimenticherà mai, ma proprio mai… E tu ti dimenticherai di incontrare i tuoi fratelli e le tue sorelle? Sei disposto a scrivere a caratteri cubitali e indelebili il loro nome nel tuo cielo?
(DON UMBERTO COCCONI)
 

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