"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


PARMAINDIALETTO Tv


Tgnèmmos vìsst
Al salùt pramzàn äd parmaindialetto.blogspot.com

“Parmaindialetto” è nato il 31 luglio del 2004. Quest’anno compie 16 anni

“Parmaindialetto” l’é nasù al 31 lùjj dal 2004. St’an’ al compìssa 16 an’

Per comunicare con "Parmaindialetto" e-mail parmaindialetto@gmail.com

L’ UNICA SEDE DI “Parmaindialetto” SI TROVA A PARMA ED E' STATO IDEATO DALLA FAMIGLIA MALETTI DI “PÄRMA”.







domenica 25 agosto 2013

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi,


 
 

Pubblicato da Don Umberto Cocconi  il giorno domenica 25 agosto 2013 alle ore  6,40

Gesù è in viaggio e durante il suo peregrinare verso Gerusalemme, che è per l’evangelista Luca la meta del cammino di ogni uomo, è interrogato da più persone. Tutti hanno una domanda da rivolgere all’uomo di Nazaret, circa la vita, il senso della vita, la felicità, la gioia. Questa volta è ancora un tale – potresti essere tu – che pone a Gesù la domanda: “Sono pochi quelli che si salvano?”. Attualmente siamo in India insieme a un gruppo di giovani, sulle “orme” di Madre Teresa di Calcutta e questa domanda sul tema della “salvezza” più volte ha appassionato i nostri discorsi, perché qui in India si respira, più che da noi, il desiderio di salvezza. C’è nel cuore dell’uomo di questa terra, il desiderio di Dio, e ciò si respira, in questo oriente, luogo dove sorge il sole, il fascino che tutto “è vanità delle vanità”, e che il nostro affannarci per ogni cosa non è altro che un inseguire il niente. La grazia dell’India è comunque la grazia dell’Uno, la grazia dell’interiorità. La via dell’interiorità non è altro che la via del distacco: «Quando tutti i bisogni annidati nel cuore si dileguano, allora il mortale diventa immortale; in questa vita consegue il brahman» (dal libro sacro Brhadaranyaka Upanishad). Hai la sensazione, stando in India, di sperimentare che ogni cosa è passeggera, che le cose di questo mondo non meritano tutto l’interesse e la cura, con cui noi, nel nostro occidente, luogo dove muore il sole, le consideriamo. Chiediamoci: L’uomo di oggi ha ancora dei desideri? O l’unico suo desiderio è quello di perseguire il puro godimento consumistico? Sembra che il fatto fondamentale che caratterizza il nostro oggi è che la vita non sia un bene sufficiente per rinunciare al godimento, e che il godimento valga più della vita. ”Devi godere”: questo è l’imperativo categorico dei nostri giorni.

Forse le cose, l’ingorgo di oggetti, l’eccesso di un godimento, stanno uccidendo i nostri desideri più veri? La parola desiderio porta dentro di sé, nel suo etimo, la dimensione della veglia, dell’attesa, dell’orizzonte stellato «dell’avvertimento positivo di una mancanza che sospinge alla ricerca» (Massimo Recalcati). Siamo ancora capaci di “decentrarci” da noi stessi, per raggiungere l’infinito, gli spazi siderali? Se avessimo dei desideri saremmo presi, portati, posseduti, animati, invasi, percorsi da essi, da quel fuoco insito in noi? Invece  la nostra vita è schiacciata e in balia di sempre nuovi bisogni. Il desiderio più vero non è il desiderio di essere riconosciuti, dello stare a cuore ad un Tu? Il desiderio è, nella sua sostanza, domanda di riconoscimento di sé, della propria storia, da parte dell’Altro. Come afferma Massimo Recalcati  «desiderare significa volersi sentire desiderati, voler essere riconosciuti dall’Altro, significa voler avere un valore per l’Altro». Perché non pensare che la storia di una persona non è altro che la storia dei suoi desideri desiderati? Il desiderio non va confuso con il bisogno, in quanto questi si dirige verso le cose, verso un oggetto capace di soddisfare; al contrario il desiderio, non si nutre di oggetti  ma di “segni”. Si nutre prima di tutto del segno del riconoscimento, della Parola che viene dall’Altro. L’essere umano per crescere non necessita solo di cose, di beni materiali, perché “non si vive solo di pane”, ma di parole, di una sola grande parola: “Tu sei mio figlio”. Possiamo pensare il desiderio come un’invocazione, una preghiera, un grido nella notte? Il nostro “grido nella notte”, che lanciamo verso il cielo, troverà un Dio disposto a farlo suo? Ci sarà qualcuno che risponderà alla nostra preghiera, alla nostra invocazione? Ci sarà un TU, che ascoltando il nostro “grido nella notte”, sentendosi interpellato, dirà: “Eccomi, io sono qui per te”? «Ho sperato, ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido» (Salmo 39). Ciò che l’uomo desidera, nel più profondo di se stesso, è anche ciò che desidera Dio? Questa domanda di riconoscimento, che ci inquieta, troverà un Padre che l’accoglierà, che ci donerà la possibilità di essere riconosciuti come figli, nonostante le nostre colpe? Se questo accadesse vuol dire che la nostra esistenza è voluta, desiderata, nonostante il nostro essere spesso “operatori di iniquità”.

Succede così nel mondo un evento che cambia per sempre il senso del mondo e della nostra storia. La nostra parola, il nostro esserci, è riconosciuto quando viene ascoltato e accolto nella propria singolarità. Gesù ci fa conoscere un Dio, a cui sta a cuore la salvezza di tutta l’umanità; ci testimonia, proprio perché il suo “grido nella notte” è stato ascoltato, che anche “il nostro grido nella notte ”sarà accolto”. Il Padre di tutti ha davvero ascoltato “il grido nella notte” di interi popoli che provengono dall’occidente e dall’oriente, dal settentrione e dal mezzogiorno. Tutti costoro saranno chiamati a sedersi alla mensa del Regno e come figli prediletti saranno “serviti” da Dio stesso. Paradossalmente tutti sono salvati, “eccetto voi”, lascia intuire Gesù. «Tu cristiano, che pensi di avere dei meriti, dei privilegi nei confronti di Dio, nonostante tu dica di aver detto una infinità di volte “Signore, Signore” o abbia avuto l’onore di aver “mangiato e bevuto in sua  presenza” o di aver davvero “ascoltato la sua parola”, sarai chiamato “operatore di iniquità”. Proprio te il giusto per eccellenza!». Anzi Lui – il Padre - non ti riconoscerà più come il figlio “erede delle promesse”, in quanto non sei stato un  fratello, verso il tuo stesso fratello. Proprio tu che dovevi splendere nelle tenebre ed essere luce per tutti, hai vissuto il dono che ti è stato elargito, come un tuo possesso geloso e non come responsabilità e servizio nei confronti dei più piccoli e dei più lontani. Nonostante le porte della casa del Padre siano spalancate per accogliere tutti, ma proprio tutti, resteranno chiuse per i “giusti”?

C’è un’ultima raccomandazione che Gesù rivolge “ai primi della classe”, a coloro che si ritengono giusti e quindi, secondo il loro parere, non bisognosi di misericordia; anche per loro - perché no? - si potrebbero aprire inaspettatamente le porte della salvezza. Gesù a questo riguardo tratteggia l’immagine di una porta stretta, attraverso la quale “i primi della lista,” che sono divenuti, a causa del loro orgoglio, gli “ultimi della lista”, potranno, se riusciranno a varcarla, entrare nel Regno di Dio. Non so se abbiamo mai cercato di passare attraverso dei pertugi stretti, ma molto stretti per sapere quale fatica si deve compiere per passare oltre. E’ chiesta, infatti, un’opera di dimagrimento, prima di tutto del nostro “ego”, supponente e giudicante e conseguentemente è necessario, inoltre, liberarci da tutte quelle cose inutili che appesantiscono il nostro cammino, che ci hanno fatto rimanere a terra, impedendoci di decollare verso gli spazi siderali. Ciò che manca “all’uomo religioso” è l’umiltà, e questo è il suo peccato, che spegne il desiderio anche di Dio, perché rinchiude la vita dentro il proprio godimento. Il desiderio, come sappiamo è invece apertura, tensione verso un oltre se stessi, prigionieri del proprio Io. Il desiderio dell’”uomo religioso”  è un desiderio che cerca unicamente la propria autoesaltazione. All’”uomo di fede”, a differenza dell’”uomo religioso”, sta a cuore il destino di tutti, la salvezza di tutti: paradossalmente egli mette a rischio la propria, pur di salvare anche uno solo. Come Dio desidera che tutti gli uomini siano salvi, così l’”uomo di fede”, desidera la salvezza per tutti. L’”uomo di fede” non può mai dire all’altro “che vuoi?”, ma sulla sua bocca devi esserci la parola: “io sono per te”.
(DON UMBERTO COCCONI)

Nessun commento: