"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 6 aprile 2014

Il Vangelo della domenica: commento di don Umberto Cocconi.



Pubblicato da Don Umberto Cocconi  domenica 6 aprile 2014   alle ore  7,07

Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, [il loro] fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». Gesù disse ai discepoli: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo».
Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. … Gesù allora quando  vide Maria piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».
 
Gesù gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». E Lazzaro uscì dal sepolcro! Se ci sarà qualcuno che griderà il mio nome, che squarcerà il silenzio della notte più oscura, io non morirò mai: il mio nome resterà scritto nel cuore delle persone che ho amato, il mio nome, sarà scritto nelle mani del Dio vivente! Solo un cuore amante potrà chiamarmi di nuovo alla vita, anzi, farmi procedere oltre, verso la pienezza della Vita.
Siamo qui ancora a parlare di lei, la morte, la “grande rimossa” dalla nostra società. Sappiamo di dover morire, ma vogliamo rinviare l’appuntamento e allontanarne il pensiero, per non guastarci la festa del bel vivere. Eppure, quello che ci fa uomini è proprio la consapevolezza di dover morire: in questo senso, come direbbe il filosofo Martin Heidegger, l’uomo è un “essere-per-la-morte”. Il nemico dell’uomo, «colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo», così si legge nella Lettera agli Ebrei, ci rende «schiavi, con il timore della morte, per tutta la vita». E certo è sempre lui a suggerirci che, se tutto finisce nel nulla, è molto più saggio non pensarci e dire a noi stessi: “Divertiti, godi, mangia”, perché “del diman non v’è certezza”. Il pensiero della morte, invece, con l’angoscia che genera, può risvegliarci dal nostro torpore, caricare di significato l’esistenza, quell’“attimo fuggente” aperto su una domanda di eternità. I poeti ne sono gli interpreti più sensibili: “Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole:/ ed è subito sera” (Quasimodo) e proprio per questo rapido sopraggiungere della notte più oscura, l’uomo non accetta di “banalizzare” la possibilità di dover  sprecare la sua unica occasione. La mortalità, il grande limite, non è la negazione del mio essere, ma è il luogo del mio “esser-ci”, del mio essere nel mondo, che ci relaziona agli altri, che valorizza l’esistenza, e che ci apre alla comunione col mondo. Per questo ci sono stati aperti gli occhi, come al cieco nato, per guardare in faccia la morte senza paura e chiamarla, con san Francesco: “Sorella morte”.
L’episodio di questa domenica si svolge a Betania, etimologicamente “casa del povero” e dell’afflizione: casa della condizione umana, inevitabilmente segnata dalla mortalità. Ognuno di noi potrà riconoscersi in Lazzaro, il cui nome significa: “Dio aiuta”. Quando Gesù viene informato che il suo amico è morto, dice ai discepoli che Lazzaro non è morto, ma dorme, e sarà Lui stesso che andrà a svegliarlo. “Risveglio” è uno dei nomi più antichi della risurrezione: risveglio al  nuovo Giorno, che prelude a un’alba senza tramonto. Paradossalmente, sono le due sorelle – Marta e Maria – a risorgere, nel senso più pieno: Lazzaro viene rianimato e certamente morirà ancora. Ma l’incontro che Gesù ha con Marta e Maria farà compiere loro un itinerario che le condurrà, già “qui e ora”, a entrare nella risurrezione. Marta, implorante e delusa, rivolgendosi a Gesù gli dice: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». E’ la domanda che nasce nel profondo di noi: “A che cosa serve un Dio che non serve, che non è presente quando ne ho più bisogno?”. Dio però non è tanto interessato a rianimare cadaveri, quanto a dare la pienezza della vita ai morti viventi, quali noi siamo. Gesù dice a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Credere in Gesù, aderire a Lui nell’amore fiducioso, è entrare nella vita vera, significa essere innestati come i tralci nella vite vera. Se rimaniamo nell’amore, vivremo! “Si, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio»: nonostante la delusione e il dolore, Marta ama, Marta crede che Gesù è il Signore della vita, e risorge dalla morte, che è in lei. Che cos’è la vita eterna? E’ accogliere l’amore del Padre, che ti fa essere figlio. Il nostro dolore, la nostra desolazione muta, così ben rappresentata in Maria, fanno scorrere le lacrime sul volto di Gesù, lo fanno “fremere” e sdegnare (questo è il “turbamento” descritto da Giovanni): il Dio biblico soffre e si sdegna davanti alla miseria dei suoi figli, schiavi della morte. In Gesù, il Padre è solidale con i figli, perciò decide di intervenire e, quando Dio interviene, è sempre per la liberazione dell’uomo. Gesù chiede agli astanti: “Dove l’avete posto?”. Risentiamo in queste parole l’eco della domanda di Dio, quando cerca Adamo nel paradiso terrestre: “Dove sei?”. Dove è l’uomo? Nella tomba, è smarrito nella sua solitudine più profonda! Lì ha termine la corsa dell’uomo che gli ha voltato le spalle, e con lui anche la corsa di tutti noi. Dio insegue l’uomo “fin dentro la morte”: Lui stesso entrerà nel sepolcro. “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Aver ridato la vita all’amico Lazzaro, accelererà la condanna a morte di Gesù, perché sarà proprio la causa determinante che porterà Gesù verso la sua stessa crocefissione. L’azione più sublime di Dio è proprio questo suo pianto: lacrime che fanno germogliare la vita nuova. Non siamo più soli e abbandonati nell’ora della nostra morte: un grido lacerante, primordiale, potente, infatti libererà la nostra vita dalle sue catene. Di nuovo, come agli inizi, Dio dirà: “Sia la luce e non ci siano più le tenebre”. E così di nuovo usciranno dal nulla tutte le cose. L’uomo si sentirà ancora una volta chiamato per nome, risvegliato. Colui che è “addormentato” non ha perso il suo nome, ma è vivo, perché il Padre continua a chiamarlo. Quando moriremo, infatti vedremo il volto del Padre, come quando siamo nati abbiamo visto il volto della madre. La tua vera casa non è la povertà, l’afflizione del sepolcro, ma la casa dell’uomo che è quella di Dio, dove ci chiama per dimorare in Lui. «Scioglietelo e lasciatelo andare», liberategli le mani, i piedi, il volto: che sia libero di camminare, di andare incontro al suo destino di figlio. “La fine” di Lazzaro, così come la nostra, annuncia “il fine”, il compimento della nostra esistenza.
(DON UMBERTO COCCONI)


1 commento:

Unknown ha detto...

Gesù qui realizza la seconda parte della parabola di Lazzaro e del ricco epulone, dove quest'ultimo chiede ad Abramo di mandare Lazzaro dal regno dei morti ad avvisare i vivi. Gesù che ne aveva il potere mettete in pratica la parabola (o esperimento mentale diremmo oggi), risuscita l'amico Lazzaro e non solo sostanzialmente non viene creduto, ma vengono qui decise la morte di Gesù e di Lazzaro. Gesù poi morirà e risusciterà e il problema, anche se in maniera diversa si ripropone. L'omonimia, non casuale dei 2 protagonisti, (i nomi propri nei Vangeli sono pochi, e Lazzaro è l'unico nome attribuito ad un personaggio di fantasia), rafforza il processo speculare, a matrioska, come in una stanza degli specchi, tipico del genio, di Gesù, ma anche dei grandi artisti. Cfr. ebook. (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.