"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 5 luglio 2014

Il Vangelo della domenica: commento di don Umberto Cocconi.



Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Vangelo secondo Matteo)

Dopo un anno di lavoro, fuori o dentro casa, non siamo forse tutti “affaticati e oppressi”, bisognosi di trovare un po’ di ristoro? In questo tempo di crisi, nonostante ci sia chi ha il privilegio di avere un lavoro, siamo tutti sottoposti a un duro ritmo di attività, a uno stress prolungato che minaccia il nostro equilibrio e la possibilità di una vita serena. Per questo motivo, con l'arrivo dell'estate, tutti cerchiamo, in un modo o nell’altro, di avere un po’ di tempo da dedicare al riposo, per riprenderci da quelle tensioni che derivano, come dice il noto detto, dal “logorio della vita moderna”. Basta dare un’occhiata ai dépliant o ai siti Internet per ritrovarci sommersi dalle proposte più allettanti. Chiediamoci però: “Di che cosa abbiamo bisogno per “ristorarci” sul serio? Siamo affaticati e oppressi…certamente... ma da chi? Da che cosa?”. Siamo alla ricerca di un meritato riposo oppure da qualche altra sollecitazione? Forse non è inutile riflettere un attimo su quel che significa l’ espressione “ristorarsi”. E’ sufficiente recuperare le nostre forze fisiche, prendendo il sole per ore su qualche spiaggia, per sentirci completamente riposati? Oppure è sufficiente dimenticare i nostri problemi e conflitti, sommergendoci nel fracasso di feste e sagre estive? Tutto fa pensare che l'uomo post-moderno abbia urgente bisogno di essere iniziato all'arte del vero riposo. Le indicazioni non mancano: ogni vera e grande tradizione spirituale ne offre. Quello che ci è necessario, allora, innanzitutto, è proprio cercare il silenzio, la calma, la serenità che tante volte ci sono mancate durante l'anno, per ascoltare il meglio che si trova in noi e intorno a noi. Non siamo un po’ stanchi di noi stessi, stufi della nostra mediocrità? Ma siamo poi così sicuri che sia appunto quella “mediocrità” la nostra identità vera, il nostro destino? Perché quest’anno non ci proponiamo una meta turistica alternativa? Ti propongo come luogo di vacanza un posto favoloso, rigenerante, per certi aspetti inedito, diverso da ogni altro: te stesso. Questa è la tua vera vacanza: passa un po’ di tempo con te stesso, entra in contatto con il tuo mondo, alla riscoperta della bellezza che abita in te. E’ necessario prendere del tempo per noi, per scoprire realmente chi siamo, o meglio, chi siamo chiamati ad essere realmente. Certo, non mancheranno le avventure, le sorprese, i rischi, le apprensioni, perché dovremo sfidare le nostre paure, soggiornare proprio dove esse abitano. Gesù ci indica la via: non dobbiamo avere timore di parlare di noi stessi, di oggi, così poco eroica e roboante, poco militaresca e regale, egli appare più vulnerabile. Ci sta rivelando “di che pasta” è fatto: una sostanza umana, dolce come forse nessun’altra, una mansuetudine davvero incredibile. Affermare che Gesù è vero uomo, dunque, significa non solo mettere l’accento sulla sua fragilità, sul suo essere rivestito della “carne”, ma scoprire che l’immagine vera dell’uomo, pensata originariamente da Dio, sta nell’essere «mite e umile di cuore». Proprio in questo risiede, propriamente, l’essere «a immagine di Dio». Non è sconcertante per noi, data l’idea spesso dispotica e muscolare, che abbiamo di Dio? Lutero traduceva il termine mite con “dolce”, una scelta tenerissima; in altre lingue, mite viene tradotto con “non-violento”, “senza potere”, gentile, cortese, amabile. Parole che hanno scandalizzato un pensatore come Nietzsche, che definisce Gesù «un interessantissimo décadent, che ha un fascino trascinante, dato da una mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo». Per questo Nietzsche trova ridicolo applicare a Gesù il concetto di eroe o di genio, preferendo piuttosto adoperare per lui, «col rigore del fisiologo, una parola ben diversa: la parola idiota», utilizzata nel senso in cui Fëdor Dostoevskij definì, in un suo celebre romanzo, il principe Myškin, per la sua assoluta, inerme e sconvolgente purezza di cuore. Ai suoi occhi, quella di Gesù non è certo una “volontà-di-potenza”, ma una “volontà del nulla”. «Nel cristianesimo afferma Nietzsche sono gli istinti dei soggiogati e degli oppressi a venire in evidenza: sono i ceti infimi quelli che cercano in ciò la propria salvezza: Io vi insegno il superuomo». Agli occhi del filosofo, la caratteristica del Cristianesimo comporterebbe dunque la negazione della vita. Certo, una lunga tradizione di esagerato “dolorismo” e l’accentuazione talvolta unilaterale della mortificazione hanno contribuito a offrire questa visione deformata dell’annuncio cristiano. Ma come può dire che il cristianesimo si oppone alla gioia di vivere, se al suo centro c’è l’amore gratuito, il bene dell’altro, il valore e la dignità dell’altro, da difendere e promuovere sempre? L’immagine del “giogo”, a questo punto, diviene molto pertinente, perché rappresenta come Gesù, e quindi i suoi discepoli, dovrebbero vivere il loro rapporto col mondo. Il giogo è l’attrezzo agricolo utilizzato per far procedere insieme i buoi, durante l’aratura del campo. La radice da cui proviene la parola "giogo" è una delle più antiche e importanti che si conoscano. Parola-chiave del vocabolario indoeuropeo, il suo significato fondamentale è quello di "unione": di qui il verbo latino "iungo", da cui, tra l'altro, "con-iungo" e da qui coniuge; e anche la parola di origine indiana "yoga" significa metodo per favorire l'unione" dell'io individuale con l'Io divino. Qual è dunque il "giogo" che Gesù propone ai suoi discepoli? E' la Croce: non soltanto nel senso dell’estremo sacrificio della vita e, riguardo al suo caso, una morte violenta e infamante, ma prima di tutto nelle scelte di vita che l’hanno preceduto. Pertanto, «prendete il mio giogo» significa: mettetevi sulla mia stessa strada, con quella fiducia nel Padre, quella condivisione dell'amore, della donazione ai fratelli che io vi ho lasciato in eredità. Solo così può essere vinta la morte, che è immagine della disgregazione e “sfigurazione” della bellezza della vita e dell’umanità. E’ vero: il “giogo” contiene inscindibilmente l'idea dell’unione e quella del peso, della fatica, proprio perché l’amore è una cosa seria, una risposta impegnativa e totalizzante. La concezione del “Superuomo” o “oltre-uomo” di Nietzsche avrebbe trovato davvero troppo paradossale questa verità. Non c’è dubbio che è ben altra “l’unica suprema potenza” espressa dal modello di umanità, proposto da Gesù, che consiste, come afferma Norberto Bobbio, «nel lasciare essere l’altro quello che è», nella sua verità profonda e radicale, nel suo essere fatto “a immagine e somiglianza di Dio”: «proprio perché il mite è l’uomo, di cui l’altro ha bisogno per vincere il male che ha dentro di sé». 
Lorenzo Lotto ritrae in una celebre tela due “coniugi” nell’atto di scambiarsi gli anelli nuziali, mentre guardano lo spettatore, come invitandolo ad essere testimone delle nozze. L'amorino in volo, che sembra benedire l'unione, e sottolineare anche “ironicamente” le conseguenze, per il giogo posto sopra le spalle degli sposi, in quanto simboleggia il vincolo matrimoniale, ma anche i doveri di cui essi si faranno carico. L’alloro, che fà da corona all’amorino, simboleggia la virtù necessaria agli sposi, per mantenere il loro vincolo intatto e giungere alla felicità eterna.
(DON UMBERTO COCCONI)

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