"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 14 settembre 2014

IL VANGELO DELLA DOMENICA. COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.

IL VANGELO DI DOMENICA 14 SETTEMBRE
Gesù disse a Nicodèmo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». (Vangelo secondo Giovanni)

Quando leggo questo brano di vangelo, m’immagino, con un po’ di fantasia, che Dio dalla sua “postazione strategica” guardi il mondo e che, mentre lo osserva, vibri dentro di sé, passi dallo stupore e dalla meraviglia al dolore e all’indignazione, per come questo mondo è divenuto ai suoi occhi irriconoscibile, “un vero schifo”. Non è ciò che proviamo anche noi tutte le sere, quando ci mettiamo in ascolto delle news, oppure quando percorriamo le strade delle nostra città con occhi consapevoli, non distratti? Non abbiamo forse l’impressione che tutto sia da distruggere e da rifare per ricostruirlo da zero? Non siamo allibiti, non siamo presi dallo sconcerto quando constatiamo che il nulla dilaga? Forse anche Dio, nel momento in cui sperimenta il proprio fallimento di Padre, subisce l’insidia del tentatore: il diavolo cerca di convincerlo a distruggere il mondo, a porre fine “d’autorità”, con un gesto netto, con un nuovo diluvio, alla carneficina delle sue creature. Forse gli suggerisce di creare un mondo migliore, dove farsi rispettare e non essere così benevolo con i suoi “figli”, che hanno esageratamente approfittato della sua misericordia. In sostanza il diavolo, il divisore a oltranza, vuol far sentire in colpa Dio, perché non si azzardi più a lasciare libero l’uomo, il cui cuore “caotico” lo rende del tutto inaffidabile. Se proprio si sente solo, il buon Dio, e vuole distrarsi con la sua creazione, cerchi di non farsi del male con le sue stesse mani e, oltretutto, non permetta che, per i suoi sentimentalismi, gli uomini facciano del male a se stessi e al creato oltre misura. L’eterno nemico, insomma, vorrebbe un Dio paralizzato, prigioniero delle proprie paure e dei propri “errori”!

Nella “Leggenda del Grande Inquisitore” di Dostojevskij, l’anziano inquisitore accusa Gesù di aver rovinato il divino disegno di felicità per il genere umano, attraverso l’esaltazione eccessiva della libertà, perché ”invece di impadronirsi della libertà dell’uomo, l’ha accresciuta”. Perché l’uomo lo seguisse liberamente, nell’amore, Gesù ha finito col moltiplicare la possibilità della libertà umana e quindi i rischi, tra i quali l’uomo può dibattersi e perdersi. Cristo ha liberato gli uomini dal peso della legge, per consentire loro di «non inchinarsi davanti ad alcuno per ottenere il pane»: ma non li ha forse poi consegnati alla terribile libertà dei figli di Dio, non ha dato loro una responsabilità troppo pesante? Il Grande Inquisitore ricorda a Gesù che, proprio a causa della libertà, l’uomo sta pagando un prezzo dalle conseguenze schiaccianti ed è ormai ridotto a prostituirsi, in cambio di un tozzo di pane. Gesù non ha forse sopravvalutato le possibilità dell’uomo, dotandolo di uno strumento così pericoloso, un’arma potente e a doppio taglio che può addirittura distruggerlo? Nella scena finale della “Leggenda”, Gesù è di fronte al Grande inquisitore, che tutto vede, tutto sa, e che intende persino l’appello muto dell’amore, incapace però di rispondervi. Che cosa fare, in questo caso, se non riaffermare la presenza di tale Amore? E’ questo, infatti, il senso del bacio che Gesù, senza dire nulla, dà allo sventurato vegliardo. Questa scena è davvero l’inversione del tradimento di Giuda: colui che bacia non dona la morte, ma la vita, offrendo la guarigione dal titanismo prometeico e diabolico. Il Cristo è disposto nuovamente a soffrire e a morire con il suo perdono, pur di liberarci dal male e di farci comprendere la verità sulle nostre azioni.

Dio però, quando dalla sua “postazione” guarda il mondo, ne prova compassione, non gli volge le spalle: al contrario, gli si avvicina, si fa ancora più prossimo, per non lasciarlo al suo destino ineluttabile e tragico. Dio si sente solidale col mondo, sembra non poter vivere senza di lui perché lo ama, letteralmente, alla follia. Di fronte a un mondo che lo rinnega, che si è dimenticato di Lui e ha perduto così la sua umanità, Dio lo ama ancor di più, rimane totalmente coinvolto, fino a donare per la sua salvezza ciò che ha di più caro: suo Figlio. Come afferma l’apostolo Paolo, «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi»; mentre eravamo meritevoli di condanna dell’ira divina, siamo stati giustificati, resi giusti dal suo Amore assoluto.
Lo sappiamo: l’amore rende vulnerabili. Forse per questo, tante volte, distogliamo lo sguardo dal volto dell’altro: perché sappiamo che il nostro cuore «si troverà diviso, rotto, sofferente. Se vuoi essere sicuro di mantenere intatto il tuo cuore, non darlo a nessuno, neanche a un animale. Avvolgilo attentamente in un hobby, in piccoli lussi, in abitudini quotidiane, evita ogni coinvolgimento amoroso, chiudilo al sicuro nell’urna o nella bara del tuo egoismo» (C. S. Lewis). In Dio, invece, c’è vera passione per l’umano, un umano che, nonostante la sua non amabilità, non suscita giudizio, valutazione o meglio svalutazione, ma accoglienza e riconoscimento della sua fragilità. C’è in Dio la passione per chi è ferito, per la vittima, per il povero e l’escluso, per chiunque abbia sbagliato. Terenzio diceva: «Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo». Sai perché Dio si è fatto uomo, affermava Ireneo di Lione? «Perché tu possa diventare Dio. 

Ma come potrai essere Dio, se non sei ancora diventato uomo? Devi prima custodire il rango di uomo e poi parteciperai alla gloria di Dio». «M’interessa, mi sta a cuore», diceva don Milani. E a noi, non interessa il mondo? Come afferma il Concilio, amplificando il concetto di Terenzio, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Da questo “esserci” del cristiano, da questo sguardo partecipativo, da questa compromissione, può nascere nel mondo la Speranza. Io dono speranza quando mi avvicino a colui che piange e asciugo le sue lacrime, perché davvero “compatisco”, faccio mio il suo dolore, piango le sue lacrime. Non dimentichiamo che la grande speranza cristiana è espressa così, nell’Apocalisse: «Dio asciugherà le lacrime dai loro occhi». Trovare qualcuno che si avvicini a me nella mia sofferenza e mi aiuti a sopportarla, a farvi fronte, a viverla o a uscirne: è questa la vera speranza. Dio ama il mondo, e non lo ha amato una volta soltanto, perché Lui è l’Amante eterno del mondo. Facciamo nostro il canto d’amore di Giulietta e Romeo, nel bel musical dedicato a loro: «Ama e cambia il mondo/ Ama e accendi il buio/ Grida la tua presenza/ Ama e cambia il mondo/ Ama e ferma il tempo/ Ama, dai luce al pianto/ Brucia nel desiderio/ Ama con ogni forza/ Ama senza paura/ Ama senza confine / Dona ogni respiro/ Dona vita alla vita/ Ama e dai speranza».
(DON UMBERTO COCCONI)

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