"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 15 novembre 2014

IL VANGELO DELLA DOMENICA. COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.



IL VANGELO DO DOMENICA 16 NOVEMBRE 2014
Gesù raccontò questa parabola: «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque.  Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". Il suo padrone gli disse: " …. sei stato fedele …. entra nella gioia del tuo Signore". Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento … E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti".

Il primo elemento che questa parabola comunica, di primo acchito, è la fiducia che quest’uomo ha una totale fiducia nei confronti dei suoi servi. Quando sta per partire per un lungo viaggio, consegna nelle loro mani tutti i suoi beni. Incredibile: il padrone non ha più niente di suo. Ha consegnato, in effetti, ai suoi servi tutta la sua fortuna, tutto il capitale che aveva. Questi talenti, che a noi possono sembrare poca cosa (cinque, due, uno…) erano in realtà misure di valore notevolissimo, all’epoca corrispondevano a una gran quantità di denari. Sono il patrimonio di un “capitalista” davvero singolare. Chissà i sentimenti di questi servi! Certo, si saranno domandati: “Perché mi viene data tanta fiducia? C’è qualcuno che crede in me più di quanto io creda in me stesso!”. Che gioia e che emozione devono aver provato! Per loro iniziava, da quel momento, una grande avventura, che era in realtà l’avventura della vita. I primi due si danno subito da fare: eccoli pronti a trafficare, a giocare i loro talenti con coraggio. Di fronte alle possibili e inevitabili difficoltà, non si tirano indietro. Rischiano, sfidano le avversità, si mettono in gioco, sanno che è giunto il loro momento magico. Hanno compreso che rischiando di “perdere” i talenti, li guadagneranno. La massima di Gesù “Se uno vuol salvare la sua vita la perde, ma se perde la sua vita la salva”, è divenuta il loro criterio di scelta. Che cosa rappresentano, anche per noi, in realtà, questi “talenti”? Simbolicamente, sono le nostre possibilità, i  doni che abbiamo ricevuto. 

E’ come se cdi fosse dato nelle un seme che si è chiamati a far crescere: grazie al nostro esserci, così quella potenzialità diventa storia, fatto, evento. Tu sei in grado di compiere grandi cose, ma tante volte non credi nelle tue capacità, che sono infinite. Immagina la gioia dei due servi, che alla sera della loro vita consegnano al padrone la fatica del loro lavoro: sono felici, anzi felicissimi. Mai avrebbero potuto immaginare di fare cose tanto grandi con questi talenti. Sono stati capaci di raddoppiarli: da cinque a dieci, da due a quattro e anche di moltiplicarli. Un potere straordinario, una creatività che forse non sospettavano di avere. Il terzo personaggio, invece, non se l’è sentita di giocare la “partita della sua vita”: si è fatto prendere dalla paura e ha nascosto il suo talento. Ha seppellito in una buca il suo “essere-futuro”, si è imprigionato con le sue stesse mani. Perché è successo questo? Perché non ha creduto in se stesso, nelle proprie capacità! Eppure qualcuno, un giorno, il suo padrone, guardandolo negli occhi e aprendo la sua mano gli ha donato il futuro, la speranza, ha creduto in lui. Eppure, al momento di scegliere cosa fare di questa risorsa immensa, il terzo servo ha scelto la via della mediocrità: non ha voluto rischiare, ha scelto di stare in panchina, non ha giocato alcuna partita con la vita. Sono convinto che se quel servo avesse detto al suo padrone, alla fine di una vita, spesa in tentativi poco fortunati: “Guarda, ci ho provato, ma non ce l’ho proprio fatta, ho perso il talento che mi avevi consegnato, perdonami!”, la reazione del padrone non sarebbe stata così severa. 

L’accusa che viene rivolta all’ultimo servo, infatti, può sembrarci esagerata e terribile: “Servo malvagio, pigro, fannullone e inutile”. Pigro magari sì, forse anche inutile e fannullone, ma mai e poi mai avremmo pensato che si sarebbe meritato l’appellativo di “malvagio”. Perché malvagio? Sapeva che il suo padrone era esigente, che gli avrebbe chiesto conto del talento ricevuto, e proprio perché non l’ha “perduto”, non l’ha trafficato, è divenuto malvagio, ossia ha fatto del male. Attenzione, dunque: il bene che non fai diventa un male! I peccati di omissione sono ben più gravi dei peccati in opere e in parole. Si è “malvagi” tutte le volte che non si è compiuto il bene che si poteva compiere, perché si dà spazio al male. Il bene non fatto non è altro che il talento messo sottoterra: peccato, è il caso di dirlo, che tu abbia sprecato una grande occasione di felicità, per te e per gli altri! Forse, anche noi abbiamo seppellito un nostro talento. E’ venuto il momento di portarlo alla luce. Tu non sei quello che sei: sei di più, sei meglio. Non hai ancora rivelato tutta la tua bellezza: hai un talento nascosto che dovresti donare al mondo. Svegliati, tu che dormi e credi di più in te stesso! Certo, a volte è difficile riuscirci da soli: abbiamo bisogno di un incoraggiamento serio e sincero. In tutto ciò che è umano, è sempre questione di relazioni! Allora, una cosa importante che potremmo fare, questa settimana, è aiutare le persone che ci sono accanto a scoprire un loro talento. Il più delle volte siamo critici, anzi ipercritici perchè vediamo solo i difetti dei nostri simili. Oggi, invece, impegniamoci a riconoscere i talenti dei nostri “compagni di viaggio” e cominciamo a gareggiare davvero nello stimarci a vicenda, come dice l’apostolo Paolo, invece di “farci le scarpe”. Diventa anche tu un “talent scout”, uno scopritore di talenti! E magari qualcun altro farà la stessa cosa per te.
(DON UMBERTO COCCONI)

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