"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 5 settembre 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.


Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». (Vangelo secondo Marco)

1.      Siamo soliti ripetere: “E’ una babilonia!”, per affermare l'impossibilità di parlare tra di noi. Le nostre lingue si accavallano, si confondono, si elidono a vicenda. Babele è il luogo della confusione, degli appuntamenti mancati: i linguaggi  non si intendono, gli equivoci si moltiplicano e la gente non si incontra, al massimo ci si urta, ci si irrita a vicenda, ciascuno si lamenta perché non è stato capito dall’altro.
2.      Nasce di qui la domanda è possibile ritrovare nella Parma-Babele una comunicazione vera, autentica, in cui le parole, i gesti, i segni corrano su strade giuste, siano recepiti e capiti? Come educarsi al comunicare autentico? Osserviamo Gesù nel momento in cui sta facendo uscire un uomo dalla sua incapacità di comunicare: si tratta della guarigione del sordomuto. Sant’Ambrogio chiama questo episodio "il mistero dell'apertura".
3.      Gesù porta quest’uomo, che non sente e che fa fatica ad  esprimersi, fuori dalla mischia, in disparte, e con gesti gli indica ciò che gli vuol fare: gli introduce le dita nelle orecchie, per riaprire i canali dell’ascolto e gli inumidisce la lingua con la propria saliva per sciogliere il suo mutismo.
4.      Sono gesti corporei che ci potrebbero apparire persino rozzi, sciocchi, ma come comunicare altrimenti con chi si è chiuso nel proprio mondo e nella propria solitudine? Come esprimere l'amore a chi è bloccato e irrigidito in sé stesso, se non con qualche gesto fisico? Pensate alla forza dell’urlo di Gesù che alzando gli occhi al cielo grida: “Effatà, apriti”.
5.      Quell’uomo sordo e muto si mette a parlare, la barriera della comunicazione è caduta, la parola si espande come l'acqua che ha rotto le barriere di una diga, lo stupore e la gioia si diffondono per le valli e le città della Galilea.
6.      Nella figura del sordomuto possiamo vedere noi stessi incapaci di ascoltare l’altro, incapaci di dire le parole che danno vita. Gli stessi apostoli più volte sono descritti come sordi, non perché fisicamente non percepiscono le parole di Gesù, ma perché non le accolgono, non le capiscono, non sono disposti a farle proprie.
7.      L’evangelista Marco sottolinea che la lingua dell’uomo sordomuto è “annodata”. E’ una bellissima immagine per indicare un blocco espressivo. Non diciamo talvolta di avere un nodo in gola? Non ci capita di dire: “Non sono in pace con me stesso, sono in contraddizione con me stesso, non mi riesce di esprimere i miei sentimenti come vorrei. Debbo mandar giù e reprimere, questo alla lunga mi logora e mi deprime".
8.      Tante volte sentiamo pure la fatica del comunicare in famiglia, per non parlare delle nostra difficili conversazioni con i vicini di casa, dei tanti silenzi sull’ascensore o in strada. Il buon comunicare nasce prima di tutto dall’accettazione dell’altro, dal riconoscere la singolarità di ogni persona, dall’accogliere l’altro per quello che è e non per quello che dovrebbe essere o che sarebbe bello che fosse.
9.      E’ capace di comunicare con autenticità, con efficacia, non chi dice semplicemente “ciò che ha dentro”, non chi riversa sull’altro il suo “bla bla”, né chi al comparire di un problema, tira fuori dal cilindro la risposta preconfezionata. Ma chi sa ascoltare? «
10.  La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno» (Zenone di Cizio).
11.  Francois Mauriac ha intitolato un suo libro “Groviglio di vipere”, è l’immagine del cuore dell’uomo annodato, aggrovigliato, divenuto il covo di serpenti velenosi.
12.  Se ci pensiamo dobbiamo riconoscere che siamo chiusi in noi stessi e non è solo una questione di carattere. L’apertura del cuore è un dono di grazia, non è un fatto di carattere, è un evento miracoloso che è prodotto dall’incontro con il Signore Gesù.
13.  L’uomo sordo e muto è immagine di noi “chiusi dentro noi stessi”: il nostro carceriere non è altro che il nostro “io”. Siamo prigionieri di noi stessi, siamo chiusi dentro le nostre manie, le nostre fissazioni. 
14.  Ecco come Sant’Agostino racconta, nelle Confessioni, la sua guarigione dalla sordità: «Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai ed ora ho fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della tua pace».
15.  Il nostro carattere è il nostro principale nemico, comunque sia. È quello che ci blocca perché tante volte come un disco rotto diciamo: “Siamo fatti così, e cosa volete farci … se siamo fatti così … siamo fatti così!”.
16.  Mettiamoci nei panni di quest’uomo sordo e muto, stiamo alla presenza di  Gesù, sentiamolo sospirare egli ci guarda, guarda in alto e sospira e nello stesso tempo ha una parola creatrice per noi: «guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».
Quell’«Apriti!» non è solo una esortazione, ma realizza quello che dice: è la Parola di Dio che ti ricrea, che ti apre alla vita e all’incontro vero con l’altro e con te stesso
(DON UMBERTO COCCONI)

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